Chi manifesta il consenso alla vaccinazione anti Covid-19 per le persone incapaci ricoverate in r.s.a.?

Il decreto legge 5 gennaio 2021 n. 1, pubblicato sulla G.U. n. 3 del 5 gennaio ed entrato in vigore il successivo 6 gennaio, all’art. 5, ha inteso disciplinare la modalità di manifestazione del consenso alla vaccinazione anti Covid 19 per le persone incapaci che si trovano ricoverate in una Residenza Sanitaria Assistita (R.S.A.).

Si tratta di una disciplina che ha sollevato non pochi dubbi interpretativi finanche sospetti di illegittimità costituzionale.

A partire dal 6 gennaio scorso tuttavia questa è la normativa vigente e applicabile a tutti gli effetti.

Al primo comma si prevede che quando l’incapace, ricoverato in r.s.a., sia rappresentato o assistito da un tutore, da un curatore o da un amministratore di sostegno, il consenso alla vaccinazione debba essere espresso da questi soggetti, nel rispetto della volontà dell’incapace (secondo quanto previsto dalla l.n. 219/2017 in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento).

Al secondo comma si prevede che qualora l’incapace sia privo di un soggetto che lo rappresenti o lo assista (tutore, curatore, amministratore di sostegno) il direttore sanitario della r.s.a. (o il responsabile medico) assuma la funzione di amministratore di sostegno al solo fine della prestazione del consenso alla vaccinazione.

Il soggetto di cui sopra dovrà sentire il coniuge, la persona parte di unione civile o stabilmente convivente o, in difetto, il parente più prossimo dell’incapace entro il terzo grado; dovrà altresì accertarsi che il trattamento vaccinale sia idoneo ad assicurare la migliore tutela della salute della persona ricoverata.

Il consenso alla vaccinazione dovrà essere espresso in forma scritta.

Il consenso sarà immediatamente valido ed efficace soltanto ove esso sia conforme alla volontà dell’interessato (ovvero del coniuge/parte di unione civile/convivente o parente entro il terzo grado ove l’interessato non sia in grado di esprimere la sua volontà). Laddove non vi sia tale conformità, la vaccinazione sarà possibile soltanto previa autorizzazione del Giudice Tutelare.

Se il direttore sanitario (o il responsabile medico) in veste di a.d.s. (secondo quanto previsto dal comma 2) non è oggettivamente in grado di accertare la volontà dell’interessato né quella del coniuge/parte di unione civile/convivente o parente entro il terzo grado, il suo consenso non è immediatamente valido ed efficace ma potrà essere tale soltanto ove convalidato dal Giudice Tutelare. Per ottenere la convalida, il direttore sanitario dovrà comunicare la situazione al Giudice Tutelare e attendere la convalida che dovrà essergli pervenuta entro 96 ore; decorso tale termine senza che gli sia pervenuta alcuna comunicazione, il consenso si considererà comunque convalidato a tutti gli effetti.

Laddove vi sia un rifiuto espresso dall’interessato alla somministrazione del vaccino ovvero al consenso da parte del direttore sanitario, il coniuge, la persona parte di unione civile o stabilmente convivente e i parenti entro il terzo grado possono ricorrere al Giudice Tutelare affinché disponga il trattamento vaccinale.

Si tratta ora di vedere se il legislatore in sede di conversione del decreto legge n. 1 del 2021 introdurrà delle modifiche all’art. 5.

 

Il decreto di nomina dell’Amministratore di Sostegno è impugnabile innanzi al Tribunale o alla Corte di Appello?

La Corte di Cassazione, Sesta sezione civile, con ordinanza depositata il 26 agosto 2020 ha rimesso alle SS.UU. della Corte di Cassazione la decisione sulla competenza in merito all’impugnazione del decreto con il quale il Giudice Tutelare abbia designato la persona incaricata di svolgere la funzione di Amministratore di Sostegno.

Saranno quindi le SS.UU. a decidere se la competenza a conoscere dell’impugnazione del decreto del Giudice Tutelare spetti al Tribunale in composizione collegiale o alla Corte d’Appello.

Qui il provvedimento integrale: OrdinanzaCassazione17833-2020

La dichiarazione di successione: il termine di presentazione

La regola generale è che la dichiarazione di successione debba essere presentata entro dodici mesi dalla data del decesso (i dodici mesi si calcolano da data a data).

Esistono tuttavia alcune eccezioni alla regola in questione, nelle quali il termine inizia a decorrere da una data successiva rispetto a quella nella quale è avvenuto il decesso.

Di seguito si indicano quelle più frequenti:

1) nel caso in cui, successivamente al decesso, sia stato nominato un rappresentante legale degli eredi, dei legatari o dei chiamati all’eredità, un curatore dell’eredità giacente, ovvero un esecutore testamentario: in tali ipotesi i dodici mesi decorrono dalla data in cui questi hanno avuto notizia legale della loro nomina;

2) nel caso di fallimento del defunto in corso al momento dell’apertura della successione o in caso di dichiarazione di fallimento intervenuta entro i successivi sei mesi dal decesso: i dodici mesi decorrono dalla data di chiusura del fallimento;

3) nel caso in cui l’eredità sia accettata con beneficio d’inventario.

Per approfondimenti scrivere a: silvia@studiolegale-marchese.it

 

Interessi bancari – la recente modifica all’art. 120 del Testo Unico Bancario approvata dai due rami del Parlamento

E’ stato approvato dai due rami del Parlamento, ed è in attesa di promulgazione e pubblicazione, il Disegno di Legge di conversione del D.L. n. 18 del 14 febbraio 2016 “Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio“, il quale ha introdotto una modifica al comma 2 dell’articolo 120 del T.U.B. (D.Lgs. n. 385/1993), prevedendo la sostituzione delle lettere “a)” e “b)” del comma 2.

A seguito della modifica suddetta, il testo del nuovo comma 2 dell’art. 120 T.U.B. è il seguente:

“Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:

a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti;

b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1o marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo.”.

Adozione internazionale – idoneità

Presupposto imprescindibile per coloro che intendono adottare un bambino straniero è l’ottenimento della dichiarazione di idoneità all’adozione internazionale.

La dichiarazione di idoneità viene rilasciata dal Tribunale per i Minorenni a seguito di un lungo e rigoroso iter procedimentale nel corso del quale la coppia aspirante all’adozione viene sottoposta a un’approfondita valutazione dei requisiti, giuridici e socio-psicologici, richiesti dalla legge.

I requisiti in questione sono:

– essere uniti in matrimonio da almeno tre anni, senza che fra i coniugi sia intercorsa separazione, neppure di fatto;

– i coniugi debbono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere il minore;

– i coniugi devono avere un’età che superi di almeno 18 e non più di 45 anni l’età del minore.

Al fine di aumentare le probabilità che la procedura si concluda positivamente e in tempi ragionevoli, è fondamentale che i coniugi ne intraprendano correttamente tutte le fasi sin dall’inizio.

Lo Studio Legale dell’Avv. Silvia Marchese possiede le competenze necessarie per assistere legalmente i coniugi nelle pratiche di adozione  e in tutte le fasi del procedimento adottivo.

Il riconoscimento della cittadinanza italiana “iure sanguinis” ai discendenti da cittadini italiani emigrati nei paesi sudamericani

I cittadini dei paesi latino-americani (es. Argentina, Brasile) che discendono da un avo italiano emigrato in Sudamerica (generalmente alla fine del 1800), possono richiedere, in Italia, il riconoscimento della cittadinanza italiana “iure sanguinis”.

Se l’interessato intende presentare la richiesta in Italia, è necessario che si trovi sul territorio italiano e abbia ottenuto la residenza anagrafica in un Comune italiano.

La richiesta andrà presentata presso l’Ufficio cittadinanza del Comune in questione e dovrà essere corredata dalla seguente documentazione:

1) estratto dell’atto di nascita dell’avo italiano emigrato all’estero rilasciato dal Comune italiano ove egli nacque;

2) atti di nascita, muniti di traduzione ufficiale italiana, di tutti i suoi discendenti in linea retta, compreso quello della persona rivendicante il possesso della cittadinanza italiana;

3) atto di matrimonio dell’avo italiano emigrato all’estero, munito di traduzione ufficiale italiana se formato all’estero;

4) atti di matrimonio dei suoi discendenti, in linea retta, compreso quello dei genitori della persona rivendicante il possesso della cittadinanza italiana;

5) certificato rilasciato dalle competenti Autorità dello Stato estero di emigrazione, munito di traduzione ufficiale in lingua italiana, attestante che l’avo italiano a suo tempo emigrato dall’Italia non acquistò la cittadinanza dello Stato estero di emigrazione anteriormente alla nascita dell’ascendente dell’interessato;

6) certificato rilasciato dalla competente Autorità consolare italiana attestante che né gli ascendenti in linea retta né la persona rivendicante il possesso della cittadinanza italiana vi abbiano mai rinunciato ai termini dell’art. 7 della legge 13 giugno 1912, n. 555;

7) certificato di residenza.

I certificati rilasciati da autorità straniere dovranno essere legalizzati e apostillati.

Se il cittadino latino-americano ha fatto ingresso in Italia per motivi di turismo, potrà richiedere alla Questura  di rilasciare un permesso di soggiorno per “attesa cittadinanza”.

Il Comune presso il quale è stata presentata la richiesta contatterà tutte le Rappresentanze consolari italiane presenti nelle località di residenza all’estero del richiedente e dei suoi ascendenti.

Il Sindaco del Comune, conclusa positivamente l’istruttoria, riconoscerà la cittadinanza italiana e disporrà la trascrizione degli atti di stato civile (nascita e matrimonio). Il neo-cittadino italiano potrà richiedere il rilascio del Passaporto italiano alla Questura competente.

 

 

Le modifiche al processo civile per effetto del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132

Il 13 settembre scorso è entrato in vigore il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile” (pubblicato nella G.U. n. 212 del 12.9.2014). Testo integrale del decreto-legge.

Le principali novità introdotte sono: il trasferimento alla sede arbitrale dei processi civili pendenti, le dichiarazioni rese al difensore, la procedura di negoziazione assistita da un avvocato, la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio, la riduzione del periodo di sospensione feriale dei termini, il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione, le misure per la tutela del credito, la semplificazione ed accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali.

Soltanto alcune delle norme previste dal decreto hanno acquistato efficacia all’atto della sua entrata in vigore; per la maggior parte l’efficacia è differita decorsi trenta (o, addirittura, novanta) giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto stesso.

Le norme che hanno acquistato efficacia immediata e che, pertanto, sono già in vigore a far data dal 13 settembre scorso, sono le seguenti:

1) possibilità di richiedere il trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti civili pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria (art. 1);

2) dichiarazioni rese al difensore (art. 15).

Per un utile schema riassuntivo delle previsioni di vigenza delle varie novità introdotte dal decreto: Redazione, “La Time-line dell’entrata in vigore della riforma della giustizia civile“, in ProfessioneGiustizia.it, alla pagina http://www.professionegiustizia.it/notizie/notizia.php?id=561

Alcune precisazioni sull’indennizzo da ritardo della pubblica amministrazione

Sulla Gazzetta Ufficiale di ieri (12.3.2014) è stata pubblicata la Direttiva del Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione che ha previsto i criteri applicativi del c.d. “indennizzo da ritardo” il quale spetta ai privati in presenza di un ritardo della pubblica amministrazione nella conclusione di un procedimento amministrativo. L’indennizzo da ritardo è stato recentemente introdotto dal DECRETO DEL FARE (decreto-legge del 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto, n. 98, art. 28) nella misura 30 euro per ogni giorno di ritardo rispetto alla data di scadenza del termine procedimentale fino all’importo massimo di 2.000 euro nei procedimenti amministrativi iniziati ad istanza di parte che riguardino l’avvio o l’esercizio dell’attività di impresa.

Le pubbliche amministrazioni, infatti, hanno il dovere di concludere un procedimento iniziato ad istanza di parte con l’adozione di un provvedimento espresso, entro un termine definito da un regolamento adottato dalla specifica Amministrazione o, in mancanza, entro il termine di trenta giorni.

Laddove l’Amministrazione abbia lasciato decorrere il termine in questione senza concludere il procedimento amministrativo (emanando il provvedimento finale), il privato interessato potrà richiedere la corresponsione dell’indennizzo da ritardo nel termine di venti giorni dalla scadenza del termine entro il quale il procedimento si sarebbe dovuto concludere.

Il pagamento dell’indennizzo da ritardo non fa comunque venir meno l’obbligo per la pubblica amministrazione di concludere il procedimento amministrativo.

Nel caso in cui la pubblica amministrazione non emani il provvedimento nel termine né provveda alla liquidazione dell’indennizzo, il privato potrà proporre ricorso al Giudice Amministrativo al fine di ottenere la condanna dell’Amministrazione ad emanare il provvedimento richiesto ed a corrispondergli l’indennizzo.

T.A.R. Toscana: i vizi delle dichiarazioni relative al subappalto non comportano l’esclusione dalla gara

Il T.A.R. Toscana, Seconda Sezione, si è recentemente pronunciato in materia di appalti pubblici ribadendo il principio secondo il quale il concorrente, che abbia reso una dichiarazione incompleta od erronea con riferimento all’esercizio della facoltà di subappalto, non possa essere sanzionato con l’esclusione dalla gara, purché risulti fornito in proprio della qualificazione per le lavorazioni che ha dichiarato di voler subappaltare.  Ricorrendo quest’ultimo requisito, infatti, il vizio che affliggerebbe la dichiarazione in questione avrebbe come unico effetto quello dell’impossibilità per il concorrente di ricorrere al subappalto.

Si tratta di un orientamento assolutamente indiscusso nella giurisprudenza amministrativa: in proposito, si vedano T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 1° febbraio 2013, n. 696, T.A.R. Umbria, 31 ottobre 2012, n. 464; Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2508.

Per il testo del provvedimento: ordinanza Tar Toscana, Seconda Sezione, n. 709 del 6 giugno 2013

Amministrazione di sostegno e tutela degli anziani

La possibilità di nominare un amministratore di sostegno a protezione delle persone “deboli” è stato introdotta in Italia con la legge n. 6/2004. “La legge in questione è stata fatta per avvicinare il cittadino debole e sofferente alla giustizia, è stata pensata come un procedimento strutturalmente semplificato, improntato a principi di massima rapidità, semplificazione, non onerosità, sburocratizzazione, elasticità: in una parola, finalmente una legge al servizio della persona” (Corte d’Appello di Venezia, 16.1.2006).

Si tratta di una vera e propria misura di protezione e “sostegno” che viene disposta dal Giudice Tutelare a seguito di un’apposita istanza e che può essere disposta nei confronti di coloro che, per effetto delle proprie condizioni di salute si trovino nell’impossibilità, anche parziale e temporanea, di provvedere adeguatamente ai propri interessi.

Recentemente la Corte di Cassazione (sent n. 16770/2012) ha affermato che nel caso di età avanzata è possibile ricorrere alla nomina di un amministratore di sostegno anche per coloro che pur essendo lucidi ed orientati ed allo stato “non circonvertibili”, presentino tuttavia cadute intellettive, confusioni ricorrenti, vuoti di memoria.

Il testo integrale della sentenza: sentenza C. Cassazione n.16770/2012